Viaggio alla scoperta della Corea del Sud

Seoul, tra antico e moderno

Sulla larga autostrada che collega Seoul con Busan, l’uomo alla guida, il signor Song, un distinto e sportivo signore di circa sessantacinque anni, mi racconta che ciò che ha cambiato il volto di questo piccolo ma antico paese, è proprio li, sotto le nostre ruote. Seoul si poggia dolcemente su di un bellissimo fiume dalle acque ancora cristalline, che taglia in due la capitale come anche parte della penisola coreana.
Busan, invece, è sita a circa 450 km di distanza dalla capitale, nel sud est, sul Mar Giallo. È un po’ la Copacabana della Corea del Sud, con lunghe ed attrezzate spiagge, molti hotel e ristoranti che si affacciano sul mare. Ma Busan è anche un importantissimo porto commerciale, tra i più famosi di tutta l’Asia, con compagnie che qui spostano merci da e per tutto il mondo.
L’allora Presidente della Corea del Sud, Park Chung Hee, considerato come il fondatore della Corea moderna ed un po’ come un padre della patria, dal momento che le sue idee ed azioni hanno trasformato un paese poverissimo in una potenza economica mondiale nel giro di soli trenta anni, intravide nel collegamento tra Seoul e Busan una delle chiavi dello sviluppo economico e sociale del paese. Circa trenta anni fa, l’economia coreana anche a seguito della guerra con il Nord, era poverissima, agricola e oppressa dalla ingombrante presenza di Giappone e Cina.
Il signor Song mi racconta che quando il Presidente…. Decise di investire tutto, sia in termini di risorse (allora scarsissime) che di credibilità politica sull’autostrada, trovò molti più nemici che partner. I più si chiedevano perché un paese senza praticamente automobili dovesse costruire 450 km di autostrada quando, con l’equivalente ammontare di denaro si poteva dar da mangiare alla popolazione affamata e disperata. Inoltre, la Corea soldi non ne aveva per niente e il presidente si espose personalmente con i paesi amici come America, Giappone, Tailandia ed altri, per garantire il pagamento di lauti interessi su prestiti che avrebbero consentito di coprire i costi della impresa. Nella sua strategia, il presidente Park Chung Hee vedeva quella opera infrastrutturale come il centro della nascita della Corea moderna, sia per l’indotto turistico che avrebbe prodotto, collegando la capitale con le bellissime spiagge del sud, sia per lo sviluppo del porto di Busan e dei traffici con i Paesi limitrofi. Nonostante l’enorme pressione che dovette subire, il presidente ebbe ragione e li, sotto le nostre ruote, io potevo in qualche modo testimoniare come, in trenta anni, questo paese fosse diventato ultra moderno, con stazioni di servizio futuristiche, con cittadini che sono ventiquattro ore online, con connessioni internet da 100 megabyte al secondo, con automobili, telefonini e tablet tutti rigorosamente Made in Korea (leggi Kia, Samsung ed altri), e con in più quel tocco di classe e di educazione che, per esempio, manca alla Cina.

Questa premessa è dovuta a voi lettori, poiché non si parla troppo di questo lembo terra chiamato Corea, stretta com’è dai giganti asiatici che la circondano. Ma è una terra ricca di tradizioni, arte e cultura.

Dopo aver trascorso due giorni sul mare di Busan ed essermi goduto lo sguardo incredulo del signor Song, che tornava lì dopo quaranta anni, davanti a grattaciali e modernita’ sconosciute per una località che quaranta anni prima era famosa solo per il suo pescato e ora era diventata la seconda più grande città della Corea e uno dei centri commerciali e produttivi più importanti dell’intera Asia, torno a Seoul e decido di andare a visitare il villaggio Bukchon Hanok.

Una casa tipica del quartire Bukchon Hanok

In effetti, questo è un piccolo distretto nella capitale che è riuscito a conservare lo stile e i colori delle abitazioni tipiche coreane, facendoli convivere con gallerie d’arte, negozi di piccoli artigiani, ristoranti locali e gente laboriosa. Qui sono attratto dalla vetrina di un negozio che espone oggetti fatti di carta, la tipica carta corena che qui era usata non solo per scrivere, ma anche per tessere vestiti, decorazioni, finestre per la casa, ecc.
Entro e faccio un po’ di acquisti per i miei cari in Italia e, dopo un’estenuante trattativa con la titolare, una signora sui sessanta, dove abbiamo entrambi sudato davvero le cosiddette sette camicie visto il caldo afoso di quel giorno (era buffo vedere che durante la trattativa lei, nel vedermi grondare sudore dalla fronte, si avvicinava e sventolava il suo bel ventaglio vicino il mio volto con un gesto quasi consolatorio), raggiungiamo un accordo e lei mi invita a festeggiare nella parte del negozio adibita a studio: caffè freddo, dolci tipici, pomodorini e…aria condizionata accesa a manetta! Nonostante la sua scarsa dimestichezza con la lingua ingelese e grazie alla potenza del linguaggio del corpo, riesco a capire che avevo di fronte la Presidentessa della Associazione degli Artisti della Carta di Seoul (dettaglio confermato dal bigliettino da visita, questo si in inglese e coreano). Cosi mi appresto a presentare degnamente anche il mio ruolo e, quando capisce di interloquire con un Professore, Italiano ed esperto di comunicazione residente in Cina, lei si fa ancora più interessata e decide cosi di invitarmi a vistare la sua casa tipica. Sulla strada ci fermiamo presso la casa di un artista locale, un pittore coreano pluri premiato, che parla molto bene cinese e li posso fare sfoggio del mio mandarino. In questa prima visita a una casa tipica coreana posso già apprezzare la ricchezza di dettagli a discapito degli spazi angusti. Sembra non esserci traccia di metallo: tutto legno e carta.
A noi si aggiunge un altro amico della signora Won, il signor Young Un Yoon, un’altra persona affascinante che di mestiere fa il burattinaio in Tailandia.

La sua brochure mostra i successi delle sue tournee in Tailandia, con tanti bambini felici attorno a lui.
Il suo inglese è decisamente migliore e, insieme, mi spiegano le peculiarità della carta coreana, visto che la signora ci fa di tutto, dai soprammobili agli abiti.

Durante la conversazione, sorseggiando un gradevolissimo the molto profumato, mi spiegano i processi di produzione e colorazione, mi tagliano piccoli campioni da portare con me in Cina e infine, m’invitano a pranzo. Insomma, quella che doveva essere una visita di un’ora scarsa in questo affascinante villaggio, era diventato un viaggio nella cultura coreana di cinque ore.

Il pranzo non è stato meno interessante. La signora Won l’ha cimato “il pranzo degli studenti”. Ci hanno servito, in un ristorante alla strada molto piccolo e con un sacco di suppellettili antiche, un contenitore metallico bollentissimo (infatti, ci hanno dato anche dei piccoli guanti ignifughi per maneggiarlo) di forma rettangolare e di colore giallo oro.
Lo abbiamo scoperchiato ed all’interno c’era del riso bollentissimo condito con uova strapazzate e alghe di mare. La titolare ha poi spruzzato sulla parte superiore una specie di piccantissima salso tipo ketchup ed ha chiuso il coperchio. Ci ha poi chiesto di agitare la scatola in maniera energica e vorticosa per un paio di minuti.fatto!
Abbiamo aperto e iniziato a mangiare questo profumatissimo piatto.
Alla fine, per raffreddare la bollente temperatura della bocca, ci ha dato una specie di granita locale, a base di fagioli dolci.

E’ stato li che, alla fine del pranzo, ci siamo salutati cordialmente ed io ho continuato il mio giro giornaliero.
Bella la Corea…alla prossima.

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